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 Ernesto de Matteis. Storie di cortecce, olive, volpi e dame
 Mostra personale

  Abbazia di San Felice, Giano dell'Umbria (PG)
  8-30 novembre 2003
Centenari, possenti, sembrano sopportare con pazienza e tenacia tutto il peso dei loro anni. L’attenzione rivolta da Ernesto de Matteis agli ulivi secolari ha radici profonde e non nasce certo in occasione di una mostra, per quanto la presenza delle sue opere in una rassegna come quella di “Frantoi Aperti” trovi un’indubbia ragion d’essere. De Matteis, di origini pugliesi, terra in cui l’ulivo raggiunge, più che altrove, dimensioni e diffusione eclatanti, gli ha già dedicato interi reportage, se così possiamo definirli. È la prima volta, invece, che egli rivolge la sua attenzione agli ulivi umbri, decisamente meno scenografici di quelli della sua terra, ma ugualmente onirici ed in grado di raccontare storie fantastiche, assumendo le fattezze più strane. Ciò che ad uno sguardo frettoloso e disattento non sembra altro che corteccia e foglie prenderà vita e si trasformerà in un animale o in una persona, magari in un intero gruppo di animali e persone. Basta solo saper guardare. Ed in questo de Matteis ci guida, prendendoci per mano ed aiutandoci, scatto dopo scatto, ad identificare ora l’uno ora l’altro soggetto.
I rami esili che avvolgono un fusto slanciato diventano pertanto una sorta di velo che ricade, leggero ed impalpabile, sul corpo di un’elegante dama. Allo stesso modo un particolare di un nodo nella corteccia assume la forma di un grosso naso, ed attorno ad esso si va delineando l’occhio, poi l’intero volto, ed alla fine da quel semplice nodo prende forma la testa di un gigante che, con una dolcezza infinita, si piega ad annusare un groviglio di foglie d’edera, anch’esso ormai sublimato in un mazzo di rose.
Spesso, negli ulivi più mastodontici, il tronco tende a spaccarsi, ad aprirsi, dando l’illusione di trovarsi di fronte all’antro di una buia caverna. Altre volte accade che il peso della folta chioma tenda a ricadere verso il basso, conferendo all’albero la posa di un cerimonioso inchino.
I più “avvezzi” ad un certo tipo di ricerca fotografica troveranno invece affascinanti alcuni scatti che, scavando negli interstizi della corteccia e delle radici, creano giochi di forme che si risolvono in immagini informali, in cui nulla è più riconoscibile, ma al contempo aumenta il grado di spiritualità.
Non mancano, poi, alcuni riferimenti “colti”, che traggono spunto da Hitchcock o persino dall’iconografia giottesca del Compianto sul Cristo morto, con la figura della Maddalena che, braccia alzate, in un silente gesto di disperazione, sfoga tutto il suo dolore.
Un gioco di ombre e di luce, tant’è, perché da bravo fotografo de Matteis sa bene che variando appena l’intensità o la provenienza luminosa, quello che prima assumeva la silhouette del muso di una volpe, può inesorabilmente ritornare ad essere soltanto una piccola porzione di corteccia.
Torino, 17 ottobre 2003

Adelinda Allegretti
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Inaugurazione





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Adelinda Allegretti: storico dell'Arte, giornalista, curator di eventi espositivi - CREDITS