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 Paola de Santis. L'Alfa e l'Omega
 Mostra personale

  Galleria La Pigna, Roma
  10-20 giugno 2006
Con sempre minor frequenza l’arte contemporanea si accosta al tema del sacro, e quando lo fa in genere utilizza linguaggi tradizionali ed aulici, quali la pittura e la scultura. E tutto ciò contribuisce a scavare un solco tra l’uomo contemporaneo e la divinità, laddove il primo, ormai entrato in un vortice di comunicazione sempre più facilitata, in cui anche le immagini possono essere scambiate e trasferite con estrema rapidità, sempre meno si riconosce e riconoscerà in tali linguaggi.
Con il ciclo di lavori qui proposto, Paola de Santis dimostra che, pur mantenendo fede all’iconografia tradizionale, la fotografia e, soprattutto, la sua rielaborazione digitale, ben possono accogliere l’idea del Sacro e ritrasmetterla ad un pubblico di moderni devoti. Prendendo le mosse da una serie di scatti fotografici realizzati molti anni prima, in un arco temporale di una decina di minuti appena, la de Santis ha successivamente individuato dei particolari, li ha estrapolati, decontestualizzati, manipolati e rielaborati ottenendo, mediante il procedimento del caleidoscopio, il loro doppio specchiato. In questo modo ha identificato delle composizioni perfettamente quadrate, dei veri e propri mandala, simbolo universale appartenente alle diverse tradizioni spirituali.
Ha trasformato ciascuna composizione in qualcosa di completamente diverso, di altro: una moderna Biblia pauperum, in grado di illustrare alcuni momenti salienti delle Sacre Scritture. Ed il moderno osservatore avrà modo di perdersi tra le sfumature di quei cieli, nei giochi di luci ed ombre, alla ricerca della rispondenza tra l’immagine ed il testo, che non a caso diventa parte integrante dell’opera, a facilitarne la comprensione.
La de Santis si sofferma in particolar modo sulla creazione, rendendo magistralmente il momento in cui la luce squarcia le tenebre, le acque si separano dal firmamento, il Sole dalle stelle e dalla Luna, nasce la vita da una forma elicoidale, prendono forma il primo uomo e la sua compagna. Dal libro Genesi si passa all’Esodo ed alla storia di Mosé, dal roveto ardente alla guida degli Israeliti attraverso il deserto, il passaggio del Mar Rosso e la manna. Dall’Antico al Nuovo Testamento, fino all’Apocalisse di Giovanni, con la Gerusalemme celeste (la città a forma di quadrato) ed il trono di Dio e dell’Agnello.
Un lavoro che l’attenta resa del simbolismo cattolico -ed al contempo universale- rende particolarmente complesso e carico di elementi descrittivi, e che non mancherà di ulteriori sviluppi ed approfondimenti.
Torino, 23 maggio 2006

Adelinda Allegretti


La tecnica da me utilizzata è, come dire, deduttiva: difficilmente parto da un’idea precostituita di ciò che voglio rappresentare, piuttosto mi lascio condurre dalle immagini che si creano nel processo della composizione caleidoscopica, costituita da specchiature multiple. Prima compongo, poi vedo. Mi fermo quando mi sembra di individuare un particolare effetto, una cromia, a volte un segno particolare, un simbolo, una forma compiuta che diventa metamorfosi, altro dalla fotografia di partenza. A quel punto fisso l’immagine e lascio che si riveli, o meglio si “sveli”, mi parli. Gli effetti che ottengo sono a volte puramente decorativi, con un valore estetico esclusivamente intrinseco ai colori e alle forme. A volte si creano delle metamorfosi, ma è sempre stata mia aspirazione accedere al simbolico, utilizzare l’arte per rendere “visibile” quel mondo dello spirito intorno al quale da più di ventisei anni ruota il centro dei miei interessi.
Circa un anno e mezzo fa mi venne chiesto da Adelinda di lavorare, in parallelo con alcuni colleghi, sul mio percorso di consapevolezza spirituale. Era un particolare momento di sinergia di interessi che vertevano in modo più specifico sul rapporto tra scienza e fede e i contributi della ricerca artistica al processo di conoscenza. Mi interessava il dibattito che ogni tanto attraversa i giornali sul tema delle origini, analizzato dal punto di vista della scienza e da quello della fede. Feci dapprima dei mandala (la figura canonica di base è un cerchio dentro un quadrato, figura simmetrica e centrata) con i diversi soggetti: fiori, piante, rocce, ecc. delle mie fotografie. Mi vennero poi in mente alcune foto di un cielo fatte circa tre anni prima, per la precisione il 6 agosto del 2002 dalla terrazza antistante il monastero carmelitano Mater Misericordie a Villair di Quart in Valle d’Aosta. Era piovuto tutto il giorno, era l’ora del tramonto, c’era un forte vento che muoveva le nuvole cangianti di colore, c’era una sensazione come di qualcosa di primordiale nell’agitarsi degli elementi. Feci una serie di scatti in pochi minuti girando a trecentosessanta gradi. Poi me ne dimenticai. A due anni e mezzo di distanza, nel comporre quelle foto, cominciai a “vedere” colori, forme particolari. Così ho cominciato a concepire l’idea di rappresentare una “genesi”, raccontare la creazione con le nuvole da sempre utilizzate, nell’iconografia tradizionale dei “cieli”, in cui risiede il divino, da molte tradizioni religiose. Le nuvole, simbolo nei testi biblici sia della presenza di Dio, che di quel velo che impedisce all’uomo di vedere le realtà spirituali con il senso fisico della vista. Ero memore anche del lavoro del mio amico artista Massimo Catalani che, pochi mesi prima, chiedendosi se esisteva un luogo, prima di tutte le religioni e di tutte le culture, dove l’uomo si trova di fronte la mistero, aveva dipinto delle nuvole.
Ho cominciato a leggere attentamente la Genesi biblica e a vedere un’aderenza di alcune immagini ai testi. Così sono nate In Principio, La creazione del cielo e Il riposo, in cui le nuvole e le loro forme assumono un carattere allegorico-simbolico. Man mano che nella mia mente si faceva strada quest’idea, pensavo ad altre fotografie per rappresentare quanto non potevo fare solo con le nuvole, pur sempre presenti.
Componendo però altre foto di quello stesso cielo, ho cominciato a vedere altro. C’è una composizione in particolare che ritengo molto speciale: le ho dato come titolo l’Alfa e l’Omega. In alto c’è una nuvoletta gialla (ricordate il velo), sotto compare una figura alata dal volto femminile. La posizione e l’icona sono quelle tipiche dello Spirito Santo così come è rappresentato in una infinità di sacre rappresentazioni. Tra l’altro lo spirito è in ebraico la ruha, ed è femminile. Dal volto alato parte un soffio che si espande in un’aureola, che corona la testa di un’altra figura alata, ma con sembianze d’uomo. A destra e sinistra le nuvole prendono la forma di aquile severe. Al centro della composizione si formano quattro dischi bianchi luminosi, le quattro direzioni del mondo. In ciò ho visto, appunto, «l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene», descritto nella profezia di Daniele, ripresa nell’Apocalisse di Giovanni.
La percezione di questa immagine non è immediata, richiede una certa attenzione. Altre immagini cui ho dato titolo La bestia e Il falso profeta sono come questa: delle vere e proprie icone di immagini dell’Apocalisse di Giovanni, così come descritte dal testo che ho allegato nelle opere.
Mi chiedo se sono visioni della sottoscritta o tutti le possono vedere. Si può chiedere di condividere le proprie visioni, pretendere che esse abbiano una dimensione oggettiva? Da sempre l’uomo vede nelle nubi sembianze di animali, facce, forme di vario tipo. Anche il mondo dei simboli ha valenza universale nei suoi significati. Sono consapevole che altri vedranno altri visi, altre sembianze, altre forme, daranno altri ed ulteriori significati ai simboli, e a questo sono anche molto interessata. Intanto però chiedo di provare a stare al mio gioco e, dopo poco, quanto descrivo si vede.
Dunque Genesi ed Apocalisse, da qui l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine dei tempi secondo la Bibbia cristiana (ma poiché Lui è l’Alfa e l’Omega, anche il ritornare del tutto all’origine di tutto). Ho pensato poi alla storia del peccato originale, al tema dell’albero della vita che mi ha sempre affascinato e che si affaccia ogni tanto nella scrittura (profeta Ezechiele) per ricomparire alla fine dei tempi. Mi fermo qui a descrivere altre immagini che penso speciali, sempre per quel ritrovarmi a vedere qualcosa che non era previsto e che si svela nel procedimento compositivo. Sono quelle che ho intitolato Creazione dell’uomo e della donna: sesto giorno e La cacciata di Adamo ed Eva. Queste due opere derivano da una foto scattata nel settembre del 1994 nella metropolitana di Stoccolma. Questa foto, la prima ad essere da me esposta in una mostra con il titolo Da dove vieni, dove vai (ovvero il “senso” della vita), mostra la sagoma di un uomo che cammina: davanti degli scalini, sullo sfondo i binari, una freccia doppia. La foto è verdastra per il tipo di tempi/diaframmi utilizzati, tranne per una macchia rossastra nel centro.
Ho provato a lavorare con questa foto per Adamo ed Eva. Nella specchiatura ho composto la freccia che risulta in mezzo all’uomo e alla donna divisi che si allontanano dalla direzione che essa indica, cioè dalla direzione della luce (che pur segna anche il cammino del ritorno). Singolare è che al livello del suolo («maledetto sia il suolo», Gen1,17), al centro, si forma come una maschera mostruosa con delle corna, a metà tra un serpente e uno scorpione. Pensando poi al sesto giorno, la creazione dell’uomo e della donna, mi è sembrato logico provare a lavorare con la stessa fotografia, con gli stessi Adamo ed Eva. Ho tagliato la fotografia di partenza in modo diverso. Qui dovevo specchiare nel punto della costola. Adesso quella che nella foto originale sembrava una macchia rossastra, in alto, in mezzo alla stazione della metropolitana, è diventata un volto, un po’ evanescente, ma pur sempre un volto, con capelli e barba lunga, baffi, un naso schiacciato, occhi aperti. Come non pensare al volto della Sindone? Non dice la scrittura che «Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18)? Nella figura si vedono come delle mani all’altezza della bocca, quasi a guidare il soffio di luce che va verso il basso, dal quale si generano i tre corpi, in gradazione dalla luce verso la materia, delle due figure di Adamo ed Eva.
Sulla struttura generale della mostra, faccio cenno ad alcuni fili conduttori, oltre a quello di Genesi-Alfa e Apocalisse-Omega. Qui va detto che anche la storia di Adamo ed Eva e del peccato originale con la cacciata dall’Eden e il divieto di prendere dall’albero della vita, trova la sua fine nella Gerusalemme celeste con al centro proprio quell’albero, divenuto di nuovo accessibile, per il sacrificio del Cristo sulla croce-albero di vita.
Tra i due poli c’è la storia della salvezza, in cui è delineato un parallelo tra la figura di Mosè e quella di Gesù: l’incontro con il roveto ardente e la morte in croce, il passaggio del mare e la resurrezione, il deserto con la manna e quello della tentazione del pane, l’acqua come fonte di vita nel deserto e l’acqua di vita eterna nel dialogo di Gesù con la Samaritana. Anche in queste sequenze sono contenuti “inizi” e “fini”, alfa ed omega, con all’interno i “cammini”. Il roveto ardente e l’incontro con «Io sarò colui che sarò» porta Mosè a lasciare tutto, morire al proprio «uomo vecchio», all’identità dei propri progetti, per mettersi al servizio di Dio e della sua missione. Mi soffermo qui sull’opera Togliti i sandali che ha una sua storia particolare. Gli scatti sono stati fatti il 15 agosto 1996 nel Peloponneso, durante una passeggiata, si può dire un piccolo pellegrinaggio, ad un monastero ortodosso. Le foto dei rovi, nella composizione, hanno sprigionato un centro “ardente” di luce a forma di croce. A questo punto ho costruito una vera croce, utilizzando una foto fatta alle rocce vicino al punto del primo scatto; con un’altra fotografia ho poi costruito i sandali. Ho visto qui una prefigurazione della venuta del Cristo, del suo cuore ardente di amore, della corona di spine. Per questo motivo, la stessa opera, senza sandali, è utilizzata nella mostra per rappresentare la Morte di croce. Mi sembra che quest’opera, che dal 1996 è stata esposta più volte e che ha ricevuto un premio, da allora “cammini” al mio fianco. Riprendendo la storia della salvezza, il passaggio del Mar Rosso segna la fine della schiavitù del popolo ebraico, ma in senso simbolico dell’uomo in generale, è l’inizio di un cammino di libertà in Dio, Colui che libera dalla schiavitù del male, attraverso il deserto, anch’esso luogo simbolico del suo esserci e del suo provvedere (accompagnato dalla nube), per giungere alla terra promessa. Con In principio era il verbo, dal prologo del Vangelo di Giovanni, abbiamo il nuovo inizio con la conclusione della morte di Gesù in croce. Ma dopo il sabato, «all’alba del primo giorno della settimana» (Mt 28,1), Gesù è risorto, ha vinto la morte, dando inizio alla nuova creazione.
Ad un’altra opera do particolare significato in questo ciclo. Le ho dato il titolo Trasfigurazione ed è un’opera più astratta rispetto alle altre, composta di quattro pezzi, ciascuno ottenuto dalla stessa fotografia. Ruotando il fotogramma di partenza specularmente, in senso antiorario a sinistra e orario a destra, si ottiene l’immagine successiva. I passaggi del testo del Vangelo di Matteo vanno seguiti passando da un pezzo all’altro in senso orario: sull’alto monte il Cristo dalle vesti candide come la luce e il volto brillante come il sole, Mosè ed Elia, la nuvola che copre tutto, la voce di Dio che chiede l’ascolto del Figlio. Il 6 agosto del 2002 il Vangelo del giorno era di Matteo ed era quello della Trasfigurazione. Mi piace pensare che tutto ciò sia stato donato. Su quelle montagne, in quel tramonto, in quel vento, a quell’ora, il cielo ha parlato.
Roma, 27 maggio 2006

Paola de Santis


Occorre una sensibilità piena nell’osservare il cielo,
e una capacità raffinata per cogliere nei movimenti delle nuvole
il senso della creazione.
Paola de Santis ha unito a queste qualità la sua professionalità di fotografa,
e con passione ha scomposto e ricomposto immagini
in trame di alto profilo capaci di ripercorrere l’antico racconto
che da Genesi si snoda all’uomo di ogni tempo.
“Dio creò il cielo e la terra….” informe, quest’ultima nell’abisso…
“Sia la Luce , e la Luce fu”
Ed ecco un varco aprirsi tra le nubi, luci ed ombre si dividono,
discreti orli in tiepido rosso circondano il blu che lieve muta in celeste:
la rappresentazione fotografica dei primi giorni dell’universo.
Deserto, tenebra, abisso, è la triade oscura del nulla
vinta dalla parola divina creatrice resa visibile e viva dalle luminose immagini
che segnano un itinerario poetico e che sottendono simbolicamente
il lavoro dell’artefice che regola l’equilibrio del creato,
che è armonia ma anche debolezza, grandezza ma anche limite.
E nuove immagini preparano l’arrivo dell’uomo:
il giorno è diviso dalla notte, la terra dalle acque, il tempo in anni, stagioni, giorni.
Sole e firmamento; frutti e semi; monti e spiagge; e il blu, l’ocra e il verde:
tutto è pronto per accogliere l’uomo, e le foto testimoniano l’Eden.
Qui si incentra magistralmente la sapienza dell’autrice che fa suo l’ottavo salmo:
“Quando il cielo contemplo e la luna e le stelle che accendi nell’alto,
io mi chiedo davanti al creato: cos’è l’uomo perché lo ricordi?
Inferiore di poco ad un dio, coronato di forza e di gloria!
Tu l’hai posto signore al creato, a lui tutte le cose affidasti:
ogni specie di greggi e d’armenti, e animali e fiere dei campi.
le creature dell’aria e del mare e i viventi di tutte le acque….”
Una letteratura sapenziale guida il rapporto uomo-Dio, uomo-cosmo, uomo-uomo.
Se ne fa interprete la fotografia che, come fa la Bibbia, sfida i botanici
e rappresenta l’improbabile: “l’albero della conoscenza del bene e del male”.
Un codice simbolico che impone all’uomo la scelta morale
che determinerà l’itinerario della sua vita sulla terra,
contrassegnata, ora, con figure deformate, traslate, evanescenti
in cammino verso un orizzonte indefinito: figure in bianco e nero
per sottolineare l’allontanamento anche dal colore e dalle gioiose composizioni
che fanno del lavoro fotografico di Paola de Santis una rifondazione
del senso della rappresentazione e del valore esplicativo dell’immagine.
E' tortuosa la strada per l’òmega; così è per Mosè e il suo “Codice dell’Alleanza”,
e per Abramo, Giacobbe, Isacco tormentati dalle fughe e dagli affetti.
Croci/crocevia offrono fotograficamente spazi al vento che separa le onde del mare
e guida le moltitudini in esodo dalla terra nemica a quella promessa.
Giochi di luce e arabeschi disegnano dune di aridi deserti,
e fresche, dissetanti acque sgorgano da preziosi mosaici di roccia.
Una croce di frammenti di cristallo demarca tempi diversi;
il Dio si è fatto Verbo, e pietre sono le sue parole:
“chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò
diverrà in lui la sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.
L’orizzonte ha la forma del Golgota, e mostra la sua corona di spine,
dal cielo e dal mare s’avanza la città santa Gerusalemme,
il divino muta in umano:
“Ecco, faccio Nuove tutte le Cose”

Dante Fasciolo
Direttore di Arte e Fede
Mostre dello stesso artista:
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Opere
Cielo e terra nuovi Dì a questi sassi che diventino pane Dammi di quest'acqua
Farai sgorgare l'acqua dalla roccia Gli animali. Quinto giorno Il cielo. Secondo giorno
Il falso profeta Il mare, la terra, le piante. Terzo giorno Il passaggio del mare
Il riposo. Settimo giorno Il trono dell'Agnello In principio
In principio era il Verbo L'albero della vita L'albero de bene e del male
L'Alfa e l'Omega L'uomo e la donna. Sesto giorno La bestia
La cacciata di Adamo ed Eva La Gerusalemme celeste La manna
La spada folgorante Le grandi luci. Quarto giorno Morte di croce
Risuscitò Sia la luce. Primo giorno Togliti i sandali
Trasfigurazione
Inaugurazione


***
Adelinda Allegretti: storico dell'Arte, giornalista, curator di eventi espositivi - CREDITS