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Gianni Depaoli. Paradise lost
Mostra personale
AB - Arte Bastia, Milano
6-20 ottobre 2009
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“Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo»” (Gen. 1-20).
Héron emprisonné (2008). È così che abbiamo deciso di accogliere lo spettatore alla prima mostra personale milanese di Gianni Depaoli, con la replica a grandezza naturale di un airone, becco ed ali ricoperti di petrolio che continua a fuoriuscire da un barile. Una macchia nera e viscida che si espande, come un tappeto, per l’intera superficie della prima sala e che molti di noi non avranno neppure il coraggio di calpestare, per paura di rimanerci invischiati e caderci sopra. Una scelta sicuramente impopolare, soprattutto in un momento in cui si fatica ad attirare il pubblico in gallerie private, in cui il déjà vu la fa da padrone, assieme alla scarsa qualità delle opere ed alla mancanza di un forte pensiero alla base del fare artistico. Depaoli, invece, le idee le ha ben chiare e l’intento che si prefigge è quello di svegliare tutti noi dal torpore, anche con un pugno sullo stomaco, se ciò potesse garantire la riuscita del suo intento. Quanti di noi passeranno oltre senza porsi delle domande, e quanti altri, invece, non potranno fare a meno di chiedersi “Perché”? È solo una splendida replica in resina di un airone immerso in un tappeto di materiali poliuretanici, ma per quanto – e per fortuna – posticcio, il suo ergersi dignitoso di fronte ad un mostro che lo avvolge con la sua melma oleosa e puzzolente, sino a togliergli la forza di volare via, dovrebbe insegnarci quanta poca dignità sia rimasta al genere umano. Verrebbe voglia di strappare via tutto quel lerciume. Ebbene, abbiamo deciso di concederlo. Le pareti della prima sala della galleria, ovattate di bianco e di nero, permettono al fruitore di compiere un gesto liberatorio, oltreché simbolico. Due grandi pannelli: bianco (il Bene, la purezza, l’energia positiva e quant’altro il singolo vorrà leggervi) e nero (il Male, l’energia negativa, l’inquinamento, le brutture dell’esistenza). Lo spettatore può decidere se attingere all’uno o all’altro, e portarsi a casa un pezzo di cielo, un sogno, una speranza, o se strappare via un lembo di negatività. Da cosa decida lui. Seduta oleosa (2006) costituisce, in parte, il passo successivo. Il barile stavolta diviene un appoggio, una seduta per quanti vorranno tentare di meditare sul significato dell’inquinamento, e su come ci si senta a sprofondare in qualcosa di sporco. La sostanziale differenza tra noi e l’airone è che possiamo decidere se e quando sederci e quando rialzarci. E Sommergibile (2007) ne è probabilmente la diretta causa: quante falle nei sommergibili nucleari hanno determinato contaminazioni letali? Viene da chiedersi quanti incidenti siano realmente accaduti oltre a quelli denunciati dai canali ufficiali. La denuncia continua con Scarichi selvaggi (2007), apoteosi dell’immissione di liquami di qualsivoglia natura nelle acque che ci circondano. La schiuma grigia cola da un grande condotto, di cui simbolicamente conosciamo il punto d’arrivo, ma non quello di partenza. Nei mari e nei fiumi vengono costantemente riversate tonnellate di liquidi tossici; qui ormai non entrano più in gioco distinzioni geografiche, perché l’inquinamento che ne deriva non rimarrà mai localizzato, ma finirà nei bicchieri e nei piatti di tutti noi. E dopo tanto nero pessimismo, altrettanto colore. Siamo giunti alla parte più poetica della mostra, ovvero ad una serie di opere bidimensionali caratterizzate da medesime dimensioni e cromia, che verte sull’arancio. Tale colore appare come un comune denominatore, una sorta di ritorno alla vita, in cui le masse ed i filamenti di resina, quella stessa materia scura e grumosa ritrovata negli altri lavori esposti, qui sembrano acquisire un’essenza più lirica. Persino i titoli se ne fanno testimoni: Spaghetti a mezzanotte, Incontri, Polvere di stelle, Voli onirici. Tutti lavori inediti e recenti, pensati appositamente per questa mostra. Una sorta di riscatto? Sicuramente. Dopotutto il genere umano non può volere la distruzione del suo habitat, ed il più delle volte la sua reazione di fronte alla distruzione ambientale è un misto di indignazione e vergogna. Quest’ultima serie di opere vuole essere un urlo di speranza, un inno alla gioia. Il petrolio di per sé non è il “male del mondo”, come non lo sono i nostri rifiuti, sia corporali che non. Come sempre, l’unica soluzione sembra stare nel mezzo, ed una convivenza serena, nel rispetto di ciò che ci circonda, darebbe nuovo vigore e senso alla vita. Adelinda Allegretti
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